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Home Opinioni Vita artificiale: paradossi, rischi e prospettive

Vita artificiale: paradossi, rischi e prospettive

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20 maggio 2010: Craig Venter, biologo statunitense noto per la corsa al sequenziamento del genoma, annuncia di aver creato in laboratorio il primo organismo artificiale, un batterio composto da una cellula sola. A cinque mesi di distanza, è lecito passare dallo stupore alla riflessione, farsi qualche domanda. Craig Venter ha creato la vita? L'uomo si può (potrà) legittimamente sostituire a Dio? La religione e la fede sono state messe all'angolo?

Viviamo in un universo improbabile, divenuto capace di sostenere forme di vita complesse grazie alla combinazione di valori assunti da costanti fisiche quali l’intensità della forza nucleare forte o la velocità della luce. Una combinazione che aveva una probabilità quasi infinitesimale di realizzarsi, tanto quanto quella che un uragano spazzi via una casa dal North Carolina e con quei pezzi costruisca un jet a Porto Rico. Eppure, come scrive Francis S. Collins, a capo del Progetto Genoma Umano, «questi sono esattamente i parametri che osserviamo».

L’annuncio della creazione della prima cellula sintetica da parte di Craig Venter,  nel maggio scorso, ha nuovamente gettato sul tavolo il rapporto tra il creatore e la creatura, l’esclusività del dono della vita e della capacità di progettare nuove forme vitali in grado di autoreplicarsi.

Chiarezza sui termini – Craig Venter non ha creato la vita, non almeno nel senso in cui è stato riportato da larga parte della stampa non specialistica. Senza una cellula vivente, il suo team non avrebbe potuto creare alcuna forma di vita artificiale. In altre parole, Craig Venter non è partito da zero, ma ha modificato qualcosa di esistente. Roberto Defez, biotecnologo del Cnr, commentando la notizia in un’intervista al Messaggero, ha inoltre spiegato che la cellula artificiale creata da Venter è soltanto un «oggetto virtuale», dato che «non sarebbe mai in grado di sopravvivere in un ambiente naturale e quindi è del tutto inutilizzabile».  Questo è il punto chiave su cui occorre soffermarsi.
Il nuovo batterio creato in laboratorio riuscirà a sostenere le leggi dell’evoluzione e della selezione naturale, che procede per mutazioni casuali e sopravvivenza del più adatto? Non si producono già spontaneamente organismi nuovi, grazie a quel grandioso meccanismo individuato da Charles Darwin e mai assunto in maniera pacifica da parte della stessa comunità scientifica, che ancora si interroga se il meccanismo operi a livello di gruppo, di individui o di singoli geni? Verrà premiato o penalizzato dal suo inserimento ex abrupto tra le braccia di madre natura?

Vendita all’ingrosso – Anche se, per assurdo, Craig Venter avesse creato la vita, dovremmo davvero stupirci? L’uomo non la crea fin da quando è nato, tramite l’unione sessuale? La questione non è se si crea, ma cosa si crea. In un futuro saremo in grado di produrre altre forme di vita più complesse? Ben fatto. La ricerca scientifica riuscirà a creare un uomo autentico (e qui credo che ognuno possa davvero dare la sua risposta su cosa lo sia), riuscirà ad amarlo e a esserne amato? Ottimo. Siamo sicuri che le cose andranno così, con la vita nuova? O forse Craig ne brevetterà il codice – come desiderava fare per il genoma umano dopo averne scopiazzato i risultati dal Progetto Genoma – e i nipoti dei nostri nipoti la troveranno sugli scaffali del nuovo supermercato all’angolo, nel giorno dell’inaugurazione, magari in formato 3 per 2?

Armonia tra scienza e fede – Scienza e fede dovrebbero operare in armonia e i media non dovrebbero inasprire un rapporto già teso. La ricerca della verità è un bene assoluto su cui tutte le religioni convengono. La scienza spiega il come, la religione (e la filosofia) il perché. Tutto il resto è presunzione (da una parte e dall’altra).

Come ha scritto Francis S. Collins in Il linguaggio di Dio, «se gli esseri umani si sono evoluti esclusivamente attraverso mutazioni e selezione naturale, chi ha bisogno di Dio per spiegare ciò che siamo? A questo rispondo: io. Il confronto fra le sequenze dei genomi dello scimpanzé e dell’uomo, per quanto interessante, non dice che cosa significa essere umani. A mio giudizio, la sola sequenza del DNA, anche se accompagnata dal rinvenimento di un immenso tesoro di dati sul funzionamento biologico, non spiegherà mai certi speciali attributi umani, come la conoscenza della legge morale e l’universalità della ricerca di Dio. Liberare Dio dal fardello di atti particolari di creazione non vuol dire rimuoverlo come fonte di ciò che rende straordinaria l’umanità, nonché dell’universo stesso. Semplicemente, mostra qualcosa del modo in cui opera».

Ivan Libero Lino

WeWrite, anno I, n. 9, ottobre 2010