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Home Recensioni Libri Tom McCarthy: Dejà Vu - Recensione

Tom McCarthy: Dejà Vu - Recensione

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Tom McCarthy - Deja vuChe cos'è la memoria? Soltanto un'immagine residua di esperienze più o meno vivide del nostro passato, o qualcosa di più? Può forse racchiudere la nostra essenza più segreta, essere la ragione del nostro agire successivo, il generatore della nostra fiducia (o sfiducia) nel futuro?

E dove potrebbe risiedere, se non nella memoria stessa, tutta la nostra autenticità? Partendo da questi interrogativi, Tom McCarthy (inglese, trent'anni) si lancia nell'ardito progetto del suo acclamato romanzo d'esordio, Remainder (letteralmente "rimasuglio"), tradotto un po' più forzatamente in Italia come Déjà vu (ISBN Edizioni, 2007): un romanzo che sfida ogni schema e ogni bizzarria contenutistica, e che certamente non si presenta in veste di cauto tentativo di far conoscere il proprio autore con una vicenda convenzionale o innocua.

Anzi, se tutto ciò che è razionale e consueto fosse una rigida barriera di mattoni, Déjà vu sarebbe il possente ariete infuocato che la distrugge, infallibile. A ben pensarci, niente quanto un libro incentrato sulla potenza del ricordo (una forza inconscia, innata, irregolare) potrebbe contrastare con le certezze del nostro raziocinio; e questo, che si offre come un viaggio d'iniziazione alla ricerca della verità sull'umano, presuppone l'abbandono pressoché totale di un intelletto rivolto e indirizzato solo all'utile e al materiale.

L'uomo, la sua condizione e i suoi conflitti - Eppure, nonostante questo, Déjà vu si basa proprio sulla materia, che volenti o nolenti ci circonda e ci costituisce, ci favorisce o ci ostacola, ci benedice o ci rovina: la storia che McCarthy racconta evidenzia la strettissima connessione tra materia, sostanza-causa con cui inevitabilmente ci rapportiamo, e memoria, costruita esattamente sui nostri continui incontri con essa; il tutto, insomma, all'insegna di una suggestiva filosofia impiantata direttamente nell'apatico caos degli anni 2000, i nostri giorni. Ed è così che un anonimo, semplice protagonista (un uomo qualunque, senza nome, senza volto, granello di sabbia di una società abnorme e annoiata), vede la sua insulsa vita stravolgersi da cima a fondo, quando inspiegabilmente viene colpito e quasi ucciso da un misterioso oggetto caduto dal cielo (la materia); il suo risveglio da un lungo coma gli scaricherà contro un immenso vuoto (la mancanza della memoria), unito ad un crescente senso di disgusto verso se stesso, verso i suoi simili, e soprattutto verso quella che viene avvertita come l'intrinseca falsità e imperfezione delle cose, della gente, del mondo. I ruoli sopra descritti, come si può vedere, ci sono tutti e tornano più volte, tracciati dalla mano pacata e seria (ma non priva di ironia) dell'autore. il nostro triste eroe (?), affranto dalla monotonia di un'esistenza (individuale e collettiva) viziata da macchinosità e finzione, è condannato a vedere la sua frustrazione infrangersi contro la superficialità e la frivolezza di chi gli è vicino; è questo forse, nell'intento di McCarthy, il ritratto caricaturale di un'epoca popolata per gran parte da un gregge indifferente, e poi da pochi (s)fortunati che, mettendone in crisi i capisaldi, finiscono soltanto mettere in crisi se stessi, soffrendo invano. Chi si accontenta della propria inerzia e inettitudine, pur non essendo vincente, rimarrà al sicuro; chi invece vuole rischiare, cercando di elevarsi per fuggire dal tedio opprimente, spiccherà un volo destinato a precipitare.

Una vena polemica - Tuttavia, prendendo in mano Déjà vu, non bisogna commettere l'errore di affezionarsi al personaggio principale come se si trattasse di una figura positiva o lodevole, perché egli è tutt'altro. A questo proposito, qualcuno che ho voluto coinvolgere nell'affascinante universo narrativo del libro (non farò nomi qui, ma basti sapere che per me il suo parere è fondamentale), alla mia richiesta di una sua interpretazione, ha osservato con arguzia che esso mostra anche, impietosamente, "come i soldi cambino le persone"; ed è, questa, una chiave di lettura (anche se in filigrana) molto interessante, molto presente e molto veritiera, che inizialmente (mea culpa) non avevo considerato. In effetti, dopo la sua riabilitazione psicofisica, il protagonista viene risarcito per il suo incidente con una somma astronomica in cambio del silenzio; in seguito, investirà la suddetta somma in una serie di assurde "recitazioni", in tempo reale e a ciclo continuo, che dovrebbero riprodurre strani attimi della sua vita (colti sottoforma di quei déjà vu che titolano l'edizione italiana). Tra attori, scenografi e organizzatori strapagati, l'uomo cadrà vittima di un'escalation di follia, in nome di questa sua volontà di ripetere all'infinito determinate situazioni per depurarle da ogni meccanicità, fino all'agghiacciante ultimo atto; il denaro in suo possesso, quindi, diventerà sempre più l'alibi e la giustificazione di ogni sua pretesa e idea maniacale - ed ecco perché non andrebbe ammirato. Déjà vu è, fra le altre cose, una denuncia di come tutti siamo corruttibili (anche da noi stessi), e insieme desiderosi di corrompere, in funzione del nostro interesse (qualsiasi esso sia); tristemente, perfino la scoperta del nostro io più profondo ha un prezzo.

Tirando le somme - Se, comunque, il nostro stato di grazia si celasse davvero in un connubio fra l'efficacia dei ricordi e la fluidità del nostro muoverci nello spaziotempo, Tom McCarthy avrebbe centrato nel segno, e l'epopea del suo protagonista assumerebbe tratti commoventi. Questo suo debutto è ambizioso, grande (anche troppo), sbocciato su un'intuizione geniale quanto pericolosa, perché sicuramente difficile da bissare; per ora, ad ogni modo, c'è da leggere, rileggere e rivivere, in un loop circolare come vuole il romanzo stesso. Le riflessioni, senz'altro, verranno da sé.

Jacopo La Posta


WeWrite, anno I, n. 2, febbraio 2010