Ultimamente si è sentito parlare dell’incremento di furti di biciclette, perpetrati addirittura di fianco a Palazzo Marino, la Casa dei Milanesi, in barba ai vigili presenti, e in piazza Duomo, a mezzogiorno. «È il terzo furto che avviene da stamattina, non siamo i custodi delle bici altrui» ─ È stata la risposta di un ghisa. Speriamo che sappiano esserlo almeno delle proprie, qualora le possiedano, verrebbe spontaneo proferire.
Altro tema è quello della “cannibalizzazione” delle medesime, come ha scritto il Presidente di Ciclobby, Eugenio Galli in un suo articolo, riferendosi alla selvaggia asportazione di componenti meccanici, si va dai semplici campanelli, ai telai o ai sellini, sofisticati e non. Quello che angoscia molti possessori delle “due ruote”, qualora non si sapesse, è il furto “a domicilio”: nelle cantine e nei box, dopo che sono stati forzati massicci lucchetti, a seguito di un’attenta osservazione delle abitudini del derubato.
Questo inquietante fenomeno si verifica anche negli androni che fiancheggiano le portinerie di signorili condomini, come accade da anni in un bel palazzo di via Melzo, nei pressi di Porta Venezia, circondato da un grazioso giardino condominiale. È diventata quasi un’angoscia, la sera, quasi si trattasse di una nuova branca di moderna ingegneria, trovare il modo di legare la propria bicicletta in maniera adeguata e con accessori sofisticati, per poterla ritrovare al mattino. Alle prime ore si fa capolino, all’uscita dall’ascensore, con il cuore in gola, chiedendosi: «E adesso… se non c’è? Mi toccherà diventare Mercurio, messaggero “alato” degli Dei, per non arrivare al lavoro in ritardo» .Oltre al danno, la beffa. Ad alcuni è capitato di ritrovare soltanto una ruota con tanto di catena e lucchetto antitaglio, mentre tutto il resto era stato “soffiato”, magari agganciandolo alla ruota anteriore, rubata da un’altra bici presente. Un periodo di tregua c’era stato quando, su suggerimento dell’amministratore, era stata installata una piccola telecamera (finta) allo scopo di scoraggiare i malintenzionati, ma, allorché, si è verificato l’ennesimo furto, proprio dinanzi, all’ “occhio magico”, si è capito che i ladri, pur non essendo degli “Arsenio Lupin”, vista l’entità della merce fiutata, posseggono sufficiente perspicacia per appropriarsi di quanto cercato.
Nel cuore della notte di un recente ferragosto, al portinaio è capitato di svegliarsi per i forti rumori di cesoie in azione, e di rincorrere in pigiama, due soggetti (pare extracomunitari) che gli passavano davanti per caricare la bici appena sottratta, su un furgone parcheggiato nei pressi dell’edificio.
Bene, si fa per dire! Oltre al custode con un randello in mano, cosa resta da fare? «Proviamo anche con Dio…non si sa mai», dicevano le parole di una celebre canzone.
In assenza di una sistematica azione di intervento da parte dell’Autorità di Pubblica sicurezza, che non faccia intuire implicitamente l’impunibilità e la mancanza di adeguate strategie d’intervento sul territorio, ciò che si rischia è l’applicazione di una legge barbarica di giustizia sommaria, come è capitato di vedere, sul palo a cui era legata una lussuosa bicicletta, apposto un cartello, scritto a pennarello, si leggevano infatti le parole, ironiche o, frutto di atteggiamento disperato.
«Chi ruba le bici becca… le pacchere».
Chissà, per contenere i gli innumerevoli furti, oltre al tradizionale randello, ai viaggi a Lourdes, questa perentoria minaccia, potrebbe essere un nuovo sistema di antifurto da brevettare, alla faccia della moderna tecnologia all’avanguardia e, soprattutto alla rassegnazione delle Forze dell’Ordine che dovrebbero tutelarci.
Giuseppina Serafino
WeWrite, anno III, n. 12, dicembre 2012