Settembre è il momento della ripartenza, il mese in cui i buoni propositi maturati durante l’estate vengono tolti dallo zaino che ci ha accompagnati sotto l’ombrellone, all’ombra di una cattedrale, in una città straniera, in riva al lago o nel ripostiglio di casa in cui è rimasto conservato, perché le ferie sono sempre state un diritto di pochi, ma in questi ultimi mesi di crisi lo sono ancora di più.
Io dallo zaino vorrei tirare fuori e sistemare qualcosa che mi sta particolarmente a cuore e che, ancora una volta, incrocia i suoi destini con quelli di questa rivista. Vorrei riuscire a definire l’anima di WeWrite.
Ho avuto la fortuna di essere ospitato cinque giorni nel convento francescano sul monte Mesma, ad Ameno, Novara, condividendo con i frati e con una piccola comunità di ospiti la Liturgia delle ore che scandisce il tempo dei frati minori (lodi mattutine, ora media e vespri), l’intima pace e la quiete che dal monastero si estende fino al lago d’Orta, la bellezza del muschio che si sveglia sugli alberi il mattino dopo il temporale, il tempo ritrovato del silenzio e della comunione con gli uomini e con Dio, l’amore sincero e la fraternità che si può quasi toccare con mano per quanto è pura e profonda e sincera.
Ho avuto la grandissima fortuna di conoscere gli ospiti e i frati francescani, persone come me eppure così diverse, per età, abitudini e a volte anche modo di pensare. E allo stesso tempo così vicine, tanto quanto può esserlo qualcuno che ti accetta per come sei, senza domandare nulla, da cui puoi imparare qualcosa e da cui sai che riceverai sempre un aiuto, si tratti di una parola gentile o di lavare i piatti. Qualcuno che ti lascia il tempo per pensare e stare da solo, capace di capire il bisogno di raccoglimento e nonostante questo sempre disponibile a regalare un sorriso o a tendere la mano quando torni in “società”, senza giudicare.
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È stato il tempo della riflessione e dello sguardo interiore, un tempo rallentato e scandito dall’amore e dalla fraternità, una vita che non credevo nemmeno possibile, che ritenevo un’utopia irraggiungibile, perché gli uomini sono cattivi, perché conta il denaro, il potere, perché bisogna sempre e soltanto andare dritto e lasciare cadaveri – siano affetti o passioni o perfetti sconosciuti – andare avanti e non guardare indietro e figuriamoci accanto, a chi cammina insieme a te.
Ho scoperto che un altro mondo è possibile, là fuori (o là dentro) si vive una vita cristiana, non solo e non soltanto perché si prega, ma perché la preghiera comune delle piccole comunità crea un’intimità che avvicina l’un l’altro, perché l’amore per il prossimo è possibile, basta solo volerlo. Viviamo in un recinto grande, fatto di città e mura invisibili, di costrizioni che non sono reali, mentre loro, i rinchiusi, chi ha abbandonato il mondo, chi sceglie una vita che prima o poi se ne pente, i frati forse vivono l’unica vita vera, quella che riflette l’amore di Dio.
Ho capito che quella vita, la vita del piccolo recinto, è trasferibile, che non è necessario prendere i voti. La fraternità e l’amore e la comunione con Dio possono stare anche nel grande recinto, quello con il lettore blu ray e il televisore HD, con il vestito all’ultima moda e la vaporiera per cucinare cibi esotici due volte l’anno.
Per «essere nel mondo senza essere del mondo» è necessario farsi spugna, stare tra chi fa il male e accogliere e ascoltare senza giudicare, come il malato immaginario di Molière, che era in realtà l’unico sano perché in grado di recepire, fino ad assorbire, il male del mondo. Noi scegliamo ogni giorno. In ogni singolo giorno, ora, minuto o istante della giornata c’è la possibilità di rivoluzionare non il mondo ma noi stessi, rivoltare completamente la nostra vita, scegliendo di amare, di accogliere, di ascoltare, di perdonare.
E allora l’anima di WeWrite non potrà che essere la riappropriazione del proprio tempo e della fraternità, entrambe unite nell’ascolto, nel tempo dilatato dell’attenzione. L’anima di WeWrite sarà quell’«essere nel mondo senza essere del mondo» di cui parlavo nel Perché WeWrite e che rimane una delle più belle frasi del Vangelo per definire il comportamento atteso dei cristiani.
Se potessi chiedere qualcosa a Dio, ora, in questo preciso istante, lo pregherei che WeWrite fosse il primo battito d’ali della farfalla capace di scatenare una serie di conseguenze inaspettate nel mondo, come nel racconto Rumore di Tuono dello scrittore statunitense Ray Bradbury. Quello che domando non è cosa da poco, lo so. Ma i miracoli a chi si può chiederli se non a Dio?
Chiederei il primo battito d’ali capace di testimoniare la Parola con i fatti, con l’attenzione, con l’accoglienza, con l’accettazione, con la creazione di un network della solidarietà, capace di trasferire quei principi e quei valori che ho trovato sul monte Mesma, in ognuno degli ospiti e dei frati, e che vorrei davvero riuscire a far rivivere nell’anima, almeno in parte e per quanto mi sarà possibile, di questa rivista. Una rivista che rappresenti un approdo sicuro, una baia in cui calare la vela per qualche minuto, senza che nessuno giudichi o metta fretta, senza che nessuno imponga, dove ritrovare se stessi, prima di riprendere il cammino.
Ivan Libero Lino
WeWrite, anno I, n. 8, settembre 2010