Il Festival Internazionale del Giornalismo che si è tenuto a Perugia tra il 21 e il 25 aprile non è stato solo un insieme di conferenze, eventi e spettacoli più o meno riusciti causa vulcano e assenza di alcuni ospiti d’eccezione. È stato soprattutto il luogo del confronto e dello scambio di idee, l’incarnazione perfetta di internet e della rete, il luogo dove è possibile superare il limite della comunicazione unidirezionale per passare a un modello di comunicazione many to many, molti a molti.
Il cambio di paradigma è oggi un fenomeno consolidato e sia gli editori che i giornalisti ne devono tenere conto. Chiudere gli occhi sarebbe un harakiri intellettuale, vorrebbe dire rigettare in mare le idee che possono trasformare il settore, sprangare la porta alle testimonianze che possono contribuire a costruire un’informazione più libera, consapevole e, in ultima analisi, scientifica.
Non è un caso che buona parte di questa quarta edizione del Festival sia stata dedicata al futuro del giornalismo, all’analisi di nuovi modelli di business da applicare all’editoria, al nuovo ruolo dei giornalisti e ai modi nuovi in cui si può portare avanti la professione. Una professione che deve rispondere a esigenze che nascono dalla società, che deve individuare le domande per le quali la società vuole trovare risposte, che deve coinvolgere e rendere partecipi perché capace di dare voce all’interesse comune tramite un metodo condiviso.
Come ha affermato Luca De Biase, responsabile di Nòva24, inserto dedicato alle tecnologie del Sole 24 Ore, durante il keynote speech che ha tenuto giovedì 22 aprile e incentrato sul futuro del giornalismo, «il giornalista è giornalista professionista non perché ha una tessera, ma perché porta avanti una conoscenza basata sul metodo, un modo di fare ricerca sulla base di un metodo condiviso e trasparente».
Questo è il motivo per cui stiamo lanciando una grande inchiesta dalle pagine di WeWrite. Un’inchiesta che coinvolgerà i lettori e che sarà portata avanti attraverso un metodo scientifico e trasparente. Questo è il motivo per cui a partire dai prossimi mesi i grandi temi che tratteremo verranno decisi insieme ai lettori, conversando, spronando, proponendo ma non imponendo l’agenda, ascoltando le necessità della comunità (in rete e fuori).
WeWrite è nata per questo, è una rivista che ascolta.
È il momento delle scelte e della rotta da seguire. Si può tendere l’orecchio verso le domande della società oppure continuare sul modello tradizionale e congelare l’offerta. Si può scegliere di chiudersi nella torre d’avorio e fare informazione elitaria o si può scegliere di aprire la porta e far partire la discussione, facendosi garanti delle necessità della comunità, sorvegliando sugli abusi di qualsiasi forma di potere, dando spazio ai talenti, alla creatività e alle professionalità, garantendo obiettività e rispetto dei fatti, incoraggiando la conversazione e gli scambi simbiotici tra gli abitanti della rete, assumendo il ruolo che i nuovi media sono chiamati a svolgere dal Nuovo Tempo.
Si può scegliere di innovare e seguire l’esempio di ProPublica, testata on line che negli Stati Uniti ha da poco ricevuto il Pulitzer. E in questo modo dare la possibilità alle persone di cambiare le cose.
È il mondo dell’editoria nel suo complesso che si trova nella necessità di adattarsi al nuovo paradigma. E sono gli editori che devono essere lungimiranti. L’adozione di nuovi modelli di business per l’informazione on line influenzerà sicuramente i modi in cui si farà giornalismo.
Per questo credo in una compenetrazione di modelli diversi, capaci di integrare logiche differenti, dal crowdfunding sperimentato con successo da ProPublica, all’utilizzo di modelli di business più strettamente legati al web, come la fornitura di servizi e consulenze a community interessate a uno specifico prodotto/servizio.
Dipendere da fonti differenti non consente solo di differenziare il rischio – cosa gradita a qualsiasi imprenditore – ma soprattutto dà la possibilità di creare un modello economico più decentrato e di conseguenza più indipendente, che non potrà non sfociare in un sistema di democrazia dell’informazione più avanzato.
Credo nei giovani e nel loro talento, nelle persone che ogni giorno contribuiscono all’uscita di quello che per me rimane un piccolo miracolo, un progetto nato con pochi fondi e tanta energia. Credo nella loro passione e nel desiderio di cambiamento, nella capacità di guardare il futuro dritto negli occhi e sfidarlo e dirgli “Io sono qui”.
Credo nei nostri lettori, nel panettiere e nel giornalaio, nel professionista e nel manager, nel giornalista professionista e nel blogger, nell’insegnante e nel disoccupato, soggetti economicamente e culturalmente sempre più interconnessi. Credo nel loro bisogno di comunicare e nel loro desiderio di sapere.
Faccio ancora una volta nostra una considerazione di Luca De Biase, pubblicata nel suo libro Economia della felicità. Dalla blogosfera al valore del dono e oltre (Feltrinelli, 196p.): «Come diceva lo storico Fernand Braudel, dal punto di vista della rosa, il giardiniere potrebbe benissimo essere dotato di vita eterna. Ma noi non possiamo accontentarci di vedere un grande fenomeno come se fossimo una rosa. E per comprendere una situazione tanto complessa la sola strategia è mettere insieme i punti di vista di tutti i fiori che ci sono per cercare di guardare al giardino nella sua interezza».
Questa è la nostra linea, questo è il giornalismo partecipativo che porteremo avanti.
Ivan Libero Lino
WeWrite, anno I, n. 5, maggio 2010