No profit non vuol dire poter respirare azoto invece di ossigeno, o decidere di bruciare i grassi mangiando due porzioni di profiteroles dopo una pizza con salame piccante, brie e doppia mozzarella. Non è possibile estraniarsi da logiche più o meno stringenti e da vincoli di mercato che volenti o nolenti stringono i cordoni della cinta e del borsello.
Le associazioni di volontariato hanno bisogno di fondi. Il denaro è volgare solo per chi ne ha in abbondanza o per chi può storcere il naso in un salotto bene, sorseggiando brut con il mignolo alzato mentre parla dell’ultima guerra in Sudan o dei bambini poveri che cuciono palloni in una risaia dimenticata lì in Vietnam.
La pentola alla fine dell’arcobaleno: la Mappa del Volontariato – Questo è il motivo per cui colpisce ancora oggi, a un anno di distanza, la presentazione inserita nella Mappa del Volontariato di Milano, una guida dagli indubbi meriti informativi e che raccoglie le associazioni presenti sul territorio milanese, ma che sembra essere lontana mille miglia dal fenomeno di cui si fa portavoce.
L’assessore alla Famiglia, Scuola e Politiche sociali del Comune di Milano, Mariolina Moioli, scrive che il volontariato «di Milano e dei milanesi» (cito testualmente) è un «tesoro» in quel «grande scrigno aperto che è la nostra Città» e «costituisce, oggi più di ieri, un patrimonio imprescindibile non solo per il nostro benessere sociale, ma anche per la qualità della nostra convivenza civile.
Un patrimonio che, se non è soggetto alla volatilità delle borse e all’incertezza degli investimenti, è però minacciato, in prospettiva, dal dilagare di forme, talora esasperate ed esasperanti, di individualismo con le conseguenti ricadute in termini di indifferenza, cinismo e conflittualità».
Nel mercato: la realtà di organizzazioni piccole ma fortemente radicate sul territorio – Mariangela Simini, Presidentessa dell’Associazione Luisa Berardi (associazione di cui abbiamo parlato nel primo numero di WeWrite), che da lungo tempo opera nel settore e a stretto contatto con il territorio, chiarisce bene quelle che sono le criticità cui si trovano di fronte piccole realtà come quella che rappresenta. Pur concordando con l’Assessore Moioli per quanto riguarda il valore del volontariato come patrimonio e promotore di qualità della vita, Simini sostiene che anche il volontariato «organizzato in strutture piccole, medie o grandi, ha dei costi ed è pienamente inserito nelle dinamiche della società, quindi inevitabilmente i momenti di crisi si riflettono anche al suo interno».
Lo scenario che associazioni piccole ma radicate sul territorio si trovano di fronte è «da un lato un aumento costante delle spese, dall’altro la diminuzione dei contributi pubblici (penalizzati anche dal numero sempre crescente di organizzazioni che tentano l’assalto alla diligenza dei Bandi) e privati, come le Fondazioni, anch’esse continuamente subissate di richieste».
Senza considerare che «sul versante donazioni da aziende e privati cittadini, le difficoltà economiche fanno scivolare le erogazioni liberali un po’ più in basso nella lista delle priorità», di modo che anche «quando si ha la fortuna di vincere un Bando, i pagamenti vanno tutti anticipati e i rimborsi arrivano con estrema lentezza».
Davide contro Golia: competizione impari – I problemi però non sono solo strettamente finanziari. Il Terzo Settore è oggi a pieno titolo uno degli attori che operano sul mercato, un Terzo Settore, continua Mariangela, «composto prevalentemente da cooperative, alcune anche molto importanti per dimensioni e visibilità» e che «sono in costante competizione al fine di ottenere appalti e accrediti», dato che le politiche comunali a Milano «sono da tempo avviate a una privatizzazione spinta di tutto il welfare». Le piccole organizzazioni territoriali si trovano quindi in condizione di costante inferiorità. In pratica si chiede loro di sprintare contro atleti alla Usain Bolt, senza però tener conto della qualità del lavoro svolto e della preparazione messa in campo, fattori che, stando a una concezione meritocratica insita nell’idea stessa di mercato, dovrebbero invece essere tenuti in forte considerazione.
La coperta troppo corta: nuove possibilità – Farsi conoscere, coinvolgere i cittadini, stabilire relazioni con le realtà economiche che operano nella zona può servire ad allungare una coperta che rischia di diventare sempre più corta. In una parola, si tratta di trovare fonti di finanziamento alternative e di costruire nuovi modelli che possano sopperire alle carenze istituzionali, dando vita a un nuovo e proficuo circolo virtuoso, dove i cittadini e le attività produttive finanzino direttamente altre attività ugualmente produttive (in termini di sicurezza e vivibilità), ma che non lo sono in termini rigorosamente monetari.
Il successo di operazioni di questo tipo risiederà senza dubbio nella capacità di farsi percepire come organizzazioni capaci di promuovere la sicurezza sociale, favorire l’integrazione, migliorare la vivibilità dei quartieri cosiddetti “a rischio” e, senza retorica, contribuire all’acquisizione di senso da parte dei volontari in un mondo che sta andando sempre più verso la spersonalizzazione dei rapporti umani e la monetizzazione delle emozioni e, in fin dei conti, di ciò che è più strettamente e intrinsecamente umano.
Ivan Libero Lino
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Tel: 328 6241767
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WeWrite, anno I, n. 4, aprile 2010