WeWrite

La rivista che ti ascolta

  • Aumenta dimensione caratteri
  • Dimensione caratteri predefinita
  • Diminuisci dimensione caratteri
Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie vai alla sezione Cookie Policy.

    Cookie Policy

    Leggi ulteriori informazioni sulla e-Privacy Directive

Home Tecnologia Apopo: ratti eroi contro le mine e la tubercolosi.

Apopo: ratti eroi contro le mine e la tubercolosi.

E-mail Stampa PDF
(5 voti, media 4.20 di 5)

Ratti eroi - Apopo, progetto di Bart Weetjens in AfricaCerti stereotipi sono duri a morire. Portatori di peste, strumenti di tortura, roditori ripugnanti. Con poche eccezioni, i ratti sono in genere catalogati tra i nemici dell’uomo. Apopo, organizzazione no profit belga che opera principalmente in Tanzania, potrebbe cambiare radicalmente l’opinione fissatasi nell’immaginario collettivo e ben rappresentata dalla fiaba del Pifferaio di Hamelin.
Il progetto dell’ingegnere belga Bart Weetjens, tra i fondatori dell’organizzazione, è molto semplice: utilizzare le proprietà genetiche dei ratti per salvare vite umane. Come? Sfruttando il loro naso.

Grazie al materiale genetico allocato nell’olfatto, presente in misura maggiore rispetto a qualsiasi altro mammifero, i ratti sono infatti in grado di individuare mine antiuomo dall’odore che queste lasciano nel terreno e di tornare dall’operatore per riscuotere la ricompensa. Quale? Cibo, naturalmente. Con le parole di Bart Weetjens, «molto, molto semplice. E molto sostenibile nell’ambiente africano». Ed è proprio la sostenibilità una delle caratteristiche del progetto, anche dal punto di vista economico. L’ addestramento dei ratti costa infatti il cinquanta per cento in meno rispetto a quello dei cani cerca mine.

Non sorprende quindi che Weetjens abbia dichiarato tramite Twitter che i ratti eroi (HeroRATs) riusciranno a ripulire l’intera area della Provincia di Gaza, situata nel Mozambico meridionale, entro il 2014, grazie all’adozione di questa tecnologia da parte di sempre più governi africani.

Ma non è tutto. I ratti eroi sono in grado di identificare i malati di tubercolosi dall’odore della loro saliva. In un test condotto a Dar es Salaam, la più grande città della Tanzania, l’utilizzo dei roditori ha incrementato le diagnosi del 30% rispetto all’uso del microscopio.

Ratti eroi - Apopo, progetto di Bart Weetjens in AfricaRatti eroi - Apopo, progetto di Bart Weetjens in AfricaRatti eroi - Apopo, progetto di Bart Weetjens in Africa

Se si considera che il lavoro al microscopio riesce a individuare circa quaranta infezioni in un giorno, mentre un ratto ne trova quaranta in sette minuti, e che un tubercolotico che non viene diagnosticato dal microscopio infetta fino a quindici persone all’anno, risulta evidente il numero di vite che questa tecnologia può salvare.

Le applicazioni sono potenzialmente illimitate. Nel futuro potrebbe essere possibile individuare agenti inquinanti nel terreno, oppure sostanze o beni trasportati illegalmente. I ratti potrebbero perfino trovare le vittime dei terremoti e comunicarne la posizione grazie a una piccola telecamera da montare sul dorso, come fosse uno zainetto.

Il progetto apre brillanti prospettive, ma dovrà affrontare anche delle sfide, prima tra tutte quella posta dalla standardizzazione di alcune procedure, come ad esempio l’automatizzazione del processo “comportamento atteso-ricompensa”, al fine di un utilizzo su larga scala dei ratti addestrati.

Il loro impiego diffuso non solo salverebbe sempre più vite, ma soprattutto, come ha dichiarato lo stesso Bart Weetjens, sarebbe in grado di favorire nuove forme di lavoro sostenibile, all’insegna dell’armonia tra risorse ambientali, tecnologiche, animali e umane. Con buona pace del Pifferaio Magico.


Ivan Libero Lino

WeWrite, anno II, n. 1, gennaio 2011