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Home Recensioni Libri L’estate alla fine del secolo, di Fabio Geda: recensione

L’estate alla fine del secolo, di Fabio Geda: recensione

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L'estate alla fine del secolo - copertina del romanzo di Fabio GedaL’estate alla fine del secolo di Fabio Geda (Dalai Editore) è un romanzo poetico e riflessivo che narra la storia di un nonno e di un nipote. Due voci narranti, due mondi a confronto – l’infanzia e la vecchiaia – ciascuno con la propria solitudine.
L’estate di cui si parla è quella del 1999, quando Zeno, dodicenne appassionato di fumetti cresciuto in Sicilia, incontra per la prima volta il nonno materno Simone, di cui non conosceva l’esistenza. Il nonno, nato in una famiglia di religione ebraica, vive una vita quasi da eremita a Colle Ferro, paese vicino Genova in cui si era rifugiato nel periodo delle persecuzioni razziali.

L’improvvisa malattia del padre fa sì che la mamma di Zeno decida di affidare il ragazzo al nonno, figura rimasta quasi assente nel corso degli anni a causa di incomprensioni familiari. La convivenza all’inizio è dura e faticosa. Il nonno è scontroso e affetto da una sorta di aridità emotiva; Zeno vive nel suo mondo “solitario” di preadolescente costituito dalla famiglia e pochi amici e si ritrova improvvisamente strappato dalla sua realtà quotidiana e proiettato in un mondo nuovo, che non gli appartiene.

Il racconto ci rapisce, ci immedesimiamo ora in Zeno ora in Simone . La storia del Novecento si svela attraverso il racconto del nonno: il 1938, una vita tormentata e sofferta tra la guerra, la fuga e la persecuzione razziale, l’ombra della Shoah, l’esilio, il ritorno. Il racconto della vita di Simone è capace di commuovere nelle parole, nei gesti e nei profondi silenzi.

L'estate alla fine del secolo - Fabio GedaI due universi, apparentemente distanti, trovano un punto d’incontro: pian piano nonno e nipote imparano a conoscersi, rispettarsi e a volersi bene. Zeno vive un processo di crescita interiore, attraverso cui potrà capire molto su se stesso, sull’essere adulti e scoprirà l’importanza della memoria; il nonno Simone, per la prima volta, potrà finalmente guardare al futuro in maniera positiva lasciando da parte quel velo di malinconia e di incomunicabilità che lo ha sempre accompagnato nel corso della sua vita.

Alla fine di questo percorso, nonno e nipote si scoprono più simili di quanto potessero immaginare. Toccante la scena in cui Zeno guarda il nonno fumare la pipa e si riconosce in lui: «Di sera, dopo un pasto frugale, si incantava a guardare fuori dalla finestra un punto lontano, con la pipa di schiuma tra le dita. Io, allora, mi sedevo di lato, così da scorgere un riflesso di luce nei suoi occhi, perché era come se lì si rispecchiasse una storia che, in qualche modo, era anche la mia. Mi cercavo in lui, nelle righe, nei gesti, nelle unghie e nell’odore, ma quasi mai mi trovavo. Mentre lo sguardo – perdio – quello era mio: ne avrei riconosciuto l’inclinazione e il peso tra mille. Solo la direzione era diversa. Io mi perdevo nel futuro. Lui in ciò che era stato».

Il mondo dell’infanzia si fonde, come in un eterno abbraccio, con quello della vecchiaia: sono entrambi momenti in cui l’uomo è necessariamente costretto a riflettere e a fare i conti con se stesso. Il passato, con le sue ferite, si fonde con il futuro e le sue attese.

Sara Sirtori

WeWrite, anno III, n. 6, giugno 2012