L’estate di Altachiara è il romanzo d’esordio di Ombretta Bertini, giornalista professionista nata a Milano nel 1973.
Storia intima, romanzo di formazione, spaccato sulla vita di provincia, thriller esoterico. L’estate di Altachiara (Edizioni Il Molo, 356 pagine, 15 euro) sviluppa l’intreccio a partire dall’inquietudine di Andrea, una ragazza come tante che cerca di lasciarsi alle spalle un amore finito per ritrovarsi immersa suo malgrado in una storia di satanismo e perdizione. Attraverso nuove amicizie, feste allucinogene, rituali sanguinari, fantasmi benevoli, Andrea riuscirà a riprendersi il suo destino e a riscoprire il senso della vita.
L’autrice indaga sul Male e sugli effetti di una consapevolezza che passa di necessità per l’incontro ravvicinato con le proprie ombre. Grazie a una scrittura scorrevole, chiara, che alterna il flusso di coscienza a uno stile più diretto e che richiama a tratti autori affermati come Stephen King e Niccolò Ammaniti, L’Estate di Altachiara porta il lettore in una dimensione altra, che avvolge e convince per la sua verosimiglianza.
Come è nata l’idea e di quanto tempo hai avuto bisogno per realizzarla?
L’idea è nata nel 2003 durante un’estate in campagna. Avevo riletto alcuni romanzi brevi di Stephen King e mi è venuta voglia di creare un romanzo “di paura” ambientato nella provincia italiana, che unisse uno stile pop a una vicenda realistica, venata di sovrannaturale. Ho finito di scriverlo nel 2007.
Quanto c’è di personale o biografico nello sviluppo di una storia e quanto è “altro” rispetto all’autore?
In quel periodo stavo “smaltendo” un rapporto importante appena finito. Anche la parte esoterica – sogni, sciamanesimo, magia – l’ho vissuta attraverso un gruppo che ho frequentato per anni, in cui si studiavano questi argomenti. Bisogna prendere il dato biografico, lasciarlo decantare, distaccarsene per poi ripresentarlo sottoforma di storia.
L’Italia è un Paese di aspiranti scrittori. Puoi dare qualche suggerimento a chi vorrebbe pubblicare? Essere giornalisti aiuta?
Se vuoi scrivere, devi leggere. Tanto, tutto. Poi: chi vuole pubblicare deve armarsi di pazienza. Il 99,9% dei piccoli editori chiede un contributo. L’ideale è affidarsi a un agente letterario che faciliti il contatto con gli editori maggiori. Essere giornalisti aiuta ad avere un migliore accesso alla possibilità di essere recensiti.
Quanto tempo hai cercato un editore prima di essere pubblicata?
Per un anno sono stata in contatto con un agente letterario che mi ha proposto a due importanti case editrici (Piemme e Salani), che hanno preso in considerazione il romanzo scegliendo infine di non rischiare con un’esordiente. Poi mi sono proposta a una serie di piccoli editori. Dopo sei mesi ho avuto un ok.
Come si è svolta la fase di editing? Quanto è durata?
La fase di editing è avvenuta in modo molto semplice, con due letture da parte dell’editore e del suo staff, che mi ha chiesto dei cambiamenti a livello di impaginazione, scelta dei caratteri e numero di battute per pagina, e due letture da parte mia con relativa correzione. Il libro è stato stampato quattro mesi dopo.
Cosa ne pensi delle agenzie letterarie?
Penso che possano fare la differenza, il salto di qualità, da una pubblicazione fai da te al grande editore. Devono tuttavia essere di comprovata professionalità. In Italia è una professione ancora pionieristica rispetto ad altri Paesi, quindi bisogna informarsi bene prima di affidarsi a qualcuno.
Quali sono le difficoltà cui ti trovi di fronte quando scrivi? Come le superi?
La vera difficoltà è trovare la concentrazione, il “tempo-fuori-dal-tempo” per entrare in un’altra dimensione. Siamo distratti da troppi stimoli inutili. Risolvo scrivendo di notte, mettendo in sottofondo della musica che mi fa scaturire immagini mentali. E poi leggendo, soprattutto Storia e poesia. E un bel rum.
Nel romanzo il soprannaturale ha un peso importante sullo sviluppo degli eventi. Qual è il tuo rapporto con il paranormale?
In realtà non credo che esista qualcosa di “para-normale”. Tutto è “normale”, solo non ci facciamo caso, perché lo temiamo. Credo che ci siano dimensioni invisibili da esplorare. Dimensioni da sperimentare in prima persona, altrimenti non vale. Fenomeni cui probabilmente arriverà, prima o poi, anche la scienza.
Ivan Libero Lino
WeWrite, anno III, n. 6, giugno 2012