WeWrite

La rivista che ti ascolta

  • Aumenta dimensione caratteri
  • Dimensione caratteri predefinita
  • Diminuisci dimensione caratteri
Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie vai alla sezione Cookie Policy.

    Cookie Policy

    Leggi ulteriori informazioni sulla e-Privacy Directive

Home

La crisi egemonica dei regimi arabi

E-mail Stampa PDF
(3 voti, media 5.00 di 5)

Egitto: la crisi egemonica dei regimi arabiIl 17 dicembre del 2010, il ventiseienne venditore ambulante tunisino Mohammed Bouazizi si dava fuoco nella città di Sidi Bouzid. Questo gesto ha provocato una serie di reazioni a catena che, negli ultimi mesi, ha scatenato impressionanti ondate rivoluzionarie nel Medio Oriente e in Nord Africa. Dal Marocco al Bahrein, dallo Yemen alla Libia, il mondo arabo è attraversato da violente scosse sismico-sociali, che hanno finora portato alla caduta dei regimi di Ben Ali in Tunisia e di Mubarak in Egitto.


Secondo Antonio Gramsci, il potere dello stato, la sua egemonia, si basa su due elementi dialetticamente correlati: la coercizione e il consenso.  Gramsci sostiene dunque, nel solco di Machiavelli, che l’egemonia di una classe dirigente presupponga entrambe le dimensioni. I regimi formatisi nei paesi arabi nel secondo dopoguerra hanno costruito raffinatissime macchine di repressione del dissenso. La repressione della libertà di stampa e di espressione era ed è garantita dalla capillare presenza dei servizi di sicurezza (mukhabarat). L’opposizione politica ai regimi era ed è spesso punita col carcere e con la tortura. I regimi arabi si sono invece dimostrati molto meno capaci nella produzione del consenso. Non hanno garantito ai propri cittadini forme di partecipazione effettiva alla gestione della cosa pubblica. Il potere statale è stato gestito in forme neo-patrimoniali, cioè come patrimonio privato delle ristrette élite al potere. Non solo le masse dei diseredati, ma anche gli imprenditori e i professionisti sono state in larga misura escluse dal governo.

Le gigantesche sperequazioni tra la ricca élite al potere e le masse dei diseredati hanno creato laceranti problemi sociali. Invece di allargare le basi dello stato, tramite forme di inclusione democratica, gli stati arabi si sono limitati populisticamente a provvedere sussidi su beni di largo consumo, come la benzina. Queste misure, che nel breve periodo sembravano alleviare il malessere sociale, hanno soltanto comportato un’espansione del debito pubblico che ha spaventato i mercati internazionali, senza veramente rimuovere le forme più vistose di ingiustizia sociale.

Egitto (2)La fragilità del consenso dei regimi arabi è stata ulteriormente minata da due fattori. Innanzitutto, la bomba demografica, costituita da una popolazione giovanissima, spesso istruita, che è condannata alla disoccupazione o alla sottoccupazione.  Inoltre, la diffusione dei canali satellitari (in primis Al Jazeera), dei social network e dei blog, ha creato una nuova sfera pubblica pan-araba. La critica ai regimi, tradizionalmente proibita, ha trovato nuovi e originali strumenti di espressione.

Tutto ciò ha portato a una crisi dell’egemonia dei regimi arabi. Essi sono stati incapaci di allargare il consenso, dedicandosi esclusivamente alla repressione. Le scosse rivoluzionarie che stanno attraversando il mondo arabo hanno dunque rivelato la fragilità di un potere basato unicamente sull’uso della forza. Spetta ai popoli arabi, ora, la lotta per la creazione di sistemi più rappresentativi e di assetti sociali più giusti.


Daniele Atzori


WeWrite, anno II, n. 3, marzo 2011